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Mesia

Il tratto di costa che da Trapani giunge a Marsala, è conosciuto come la Via del sale. E’ uno scorcio di Sicilia molto bello che merita di essere visitato, dove la mano dell’uomo da secoli convive in armonia con l’ambiente naturale. Affidata al Wwf, la Riserva Naturale Orientale Saline di Trapani e Paceco è un’estensione di 1000 ettari complessivi che contiene diversi habitat e una varietà elevata di specie animali e vegetali protette. All’interno, sono presenti i bacini utilizzati per l’estrazione del sale, che ancora oggi si compie con gli antichi metodi. E’ possibile effettuare visite guidate gratuite di circa due ore, su prenotazione. Se si vuole, si può lasciare una donazione. A Nubia c’è anche un museo del sale, gestito da privati. Poco più giù, verso la splendida Marsala, si trovano le saline Ettore e Infersa, gestite da un ente privato, in cui la caratteristica è un antico mulino del 1500 perfettamente restaurato da uno degli ultimi maestri d’ascia trapanesi, seguendo lo schema costruttivo dei primi motori eolici. Vero gioiello di archeologia industriale, il mulino interamente in legno, è tra i pochi esemplari in Europa perfettamente funzionante. Anche qui è possibile effettuare vari tipi di visite ed esperienze, nonché pernottare.

Tra le visite suggerite in zona, c’è quella all’isola di Mozia, nella laguna dello Stagnone di Marsala, dove sono presenti tracce fenicie e normanne. Chi raggiunge quei luoghi sa che non può farsi sfuggire l’esperienza particolare di vedere il sole al tramonto nella salina, quando le vasche assumono diverse gradazioni di rosso, arancio e giallo come in un quadro di stile impressionista. I giovani possono prendere un aperitivo alla “Mamma Caura”, un locale caratteristico sul porto, aspettando il tramonto del sole. Per gli amanti del vino, nella terra del Marsala molte cantine organizzano visite guidate e degustazioni.

Fa parte della famiglia delle Cucurbitacee, di cui si contano 90 generi e specie. Da cibo povero e riservato ai miseri pasti dei contadini, a poco a poco questo ortaggio, anche per la sua versatilità, ha fatto il suo ingresso sulle tavole borghesi, per arrivare oggi ad avere una posizione di primo piano nelle interpretazioni gastronomiche di alta cucina. La stagione della zucca va da agosto a gennaio, ma si trova in commercio quasi tutto l’anno.

Per verificare al momento dell’acquisto che si tratti di una zucca fresca e ben matura, va colpita leggermente sulla buccia: dovrà produrre un suono sordo. Il picciolo deve essere morbido e la buccia, senza ammaccature. Una volta acquistata, la zucca può essere conservata intera anche per diversi mesi, meglio se chiusa in un sacchetto di carta e riposta nella parte bassa del frigorifero o in un ambiente buio, fresco e asciutto. Spesso, per praticità si acquista zucca già tagliata a spicchi; in questo caso, per verificarne la freschezza, va controllato che la parte esposta all’aria non sia troppo asciutta, che il colore sia giallo intenso o arancio, la buccia spessa e i semi ancora umidi e leggermente scivolosi. La pulizia della zucca è rea difficile dalla durezza della scorza, quindi, se la ricetta richiede l’utilizzo della polpa passata, ci si può limitare a tagliarla a metà o a grossi pezzi, ad eliminare semi e filamenti, quindi cuocerla e solo alla fine, privarla della buccia. Possono essere conservati anche i suoi semi: dopo averli lavati, vanno salati e tostati al forno a 180°C, adagiati su una teglia coperta con carta da forno fino a renderli croccanti. Sono un ottimo aperitivo, ricco di minerali. Chiuso in una scatola di latta, si conservano qualche settimana.

Per quanto riguarda la cottura della zucca, il forno è sempre da preferire, la bollitura è da scegliere solo se si riutilizza l’acqua di cottura, ma facendo attenzione che la polpa no arrivi a disfarsi. Un’ottima alternativa è la cottura a vapore, poiché i pezzi non toccano l’acqua; se invece la zucca costituisce la base di un preparato per pasta o riso, è bene stufarla, cuocendola in casseruola fino a renderla morbida. In ultimo, è possibile anche friggerla, tagliata a fette sottili o dopo averla infarinata o pastellata. Questo ortaggio è l’ingrediente base di vari piatti in Lombardia, Veneto ed Emilia, regioni in cui si coltiva con facilità. Si presta alla preparazione di tortini, risotti e ripieni (come quelli dei tortelli mantovani). Gli abbinamenti più felici sono quelli con spinaci, funghi, salsiccia e tartufo. Può essere utilizzata anche per preparare gnocchi, purè da servire con carni in umido, zuppe e creme, ma anche per ricette dolci come torte, soufflé e marmellate.

La zucca è adatta anche a chi segue una dieta dimagrante, essendo ipocalorica (15 Kcal ogni 100 g.), col vantaggio di fornire vitamine A (utile per la pelle e per il sistema immunitario), C e betacarotene (importanti antiossidanti), minerali (potassio, calcio) e fibre.


La storia delle sue origini non è chiaramente delineata, molte sono le leggende e i racconti romanzati; quello che si sa per certo è che sin dai tempi antichi, l’uomo amava consumare bevande ghiacciate composte da frutta, latte e miele uniti a neve, attentamente conservate nelle neviere. Egizi, Babilonesi, Cinesi e Romani ne erano estimatori, ma l’importante evoluzione ci fu con gli Arabi alla fine del IX secolo, in seguito all’invasione della Sicilia, ricca di depositi di neve dell’Etna e degli altri “ingredienti” che permettevano la realizzazione dello “sherbet”: zucchero di canna importato dagli stessi Arabi (con cui si ottengono cristalli di ghiaccio) e frutta fresca come limoni e arance. E’ una preparazione gastronomica fredda, simile ad un gelato, ma dalla consistenza più fluida. La sua funzione tradizionale è quella di separare le portate a base di carne da quelle a base di pesce. Può essere definito anche come intermezzo fine a se stesso, purché consumato in pasti particolarmente elaborati. Il gusto prevalente è dolce e talvolta ha sentori leggermente alcolici. Il suo impiego è orientato sempre più a sostituire la portata di “fine pasto”. Non è (o non è nato) come dessert ed al momento della sua scoperta aveva il ruolo di bevanda dissetante fuori pasto. Si presenta di consistenza semi-liquida, difficile da bere sia con cannuccia che con cucchiaio. E’ un prodotto parzialmente congelato, ma la grana del ghiaccio è talmente fine da risultare appena percettibile (ciò lo distingue sia dal gelato che dalla granita). Per raggiungere un risultato simile sono coinvolti dei processi di natura chimico-fisica che vanno dal liquido di partenza, al rimescolamento continuo del prodotto in fase di raffreddamento.
Ne esistono varie ricette, ma la formula tradizionale rimane quella a base di limone. Tra i vari ingredienti si utilizzano soprattutto acqua, prosecco, yogurt, panna o crema di latte, vodka, caffè, latte, menta, liquirizia e vari tipi di frutta. Le ricette più classiche di sorbetto sono al limone, all’arancia, al lampone e di frutta mista. Esistono anche gusti “alternativi”; interessante è il sorbetto al limone e sambuco, all’ananas analcolico, alle fragole.

Dislocata nell’estrema zona orientale del viterbese, dove il Tevere fa da confine tra Lazio ed Umbria, Bomarzo è famosa per il “Parco dei Mostri” realizzato nel Cinquecento, dove trovano posto, nei massi di pietra, figure surreali. Sorge a circa un chilometro dall’abitato e l’autore di questa insolita creazione è Pier Francesco Orsini, originale personaggio del Risorgimento italiano. I “mostri” sono ricavati dai massi di pietra vulcanica sparsi nel parco senza un preciso piano strutturale, secondo gli spunti offerti dagli elementi fisici del luogo. Nonostante ciò, l’unità dell’insieme è assicurata dal continuo contatto con lo stravagante e dal costante parallelo dell’artificiale con la natura circostante. Le realizzazioni statuarie del complesso bomarzesco rivelano la predilezione dell’Orsini per le forme aperte, in cui l’occhio incontra visuali in apparenza fortuite e confermano la sua passione per espressioni artistiche di diversa provenienza, certamente insolite per la cultura italiana del Cinquecento. Tra gli esempi figurativi che rendono il “Sacro Bosco” un’unità per tipologia, quelle che maggiormente attirano ed impegnano la ricettività del visitatore sono il Tempietto (in stile dorico, ha forma ottagonale e dedicato alla moglie Giulia Farnese), il Mascherone (mostro più simbolico con naso rincagnato, occhi vuoti ed un’enorme bocca spalancata nel cui interno è ricavata una stanza dotata di un tavolo al posto della lingua), l’Elefante in battaglia (spiccatamente tendente all’arte orientale), il Drago in lotta coi veltri (palesi gli influssi asiatici), la Donna opulenta (dalle proporzioni enormi, sostiene un grande vaso sulla testa), Nettuno (con il dorso nudo appoggiato su un muro ciclopico), la Casetta inclinata (dimostra la soddisfazione per il disprezzo dei limiti della regola), la Tartaruga (formazione gigantesca sormontata da un’armoniosa figura musicale), il Gigante (dalle significative forzature anatomiche), la Maschera demoniaca (sorregge la sfera decorata con i simboli araldici della famiglia Orsini). Passeggiando nel Parco, si notano qua e là alcune iscrizioni incise nella pietra quali messaggi enigmatici rivolti ai visitatori. Nel 1962, lo scrittore argentino Mujica Lainez ha dedicato a Bomarzo un romanzo storico da cui il connazionale Ginastera ha ricavato un libretto operistico, poi musicato qualche anno più tardi.
Bomarzo si può raggiungere da Roma con l’autostrada del Sole, uscita al casello di Attigliano, per poi seguire le indicazioni stradali; oppure percorrendo la via Cassia fino a Viterbo e proseguire per Bomarzo sul raccordo autostradale Viterbo – Orte o attraverso la statale Ortana. Da Viterbo invece, con il raccordo autostradale Viterbo – Orte con uscita a Bomarzo; oppure con la statale Ortana in direzione di Bagnaia.

Ingredienti per 4 persone:

  • 8 albicocche
  • 200 grammi di gelato allo yogurt
  • 2 cucchiaini di zucchero
  • 1 limone
  • 250 grammi di lamponi (o mirtilli o fragoline)
  • 1 rametto di menta (facoltativo)

 

Spremere il limone e filtrare il succo attraverso un colino. Lavare e asciugare le albicocche, dividerle a metà, eliminare il nocciolo e tagliarle a spicchi. Versare in un pentolino 1,5 decilitri di acqua, il succo di limone, metà dello zucchero, portare a ebollizione e cuocere per circa 3 minuti, finchè il liquido si sarà leggermente ristretto. Immergere le albicocche nel composto preparato e scottarle per circa 1 minuto, perché si ammorbidiscano. Farle raffreddare nel liquido di cottura. Sgocciolare metà albicocche e tenerle da parte. Passare al mixer le albicocche rimaste con il liquido di cottura. Pulire i lamponi, lavarli e asciugarli e frullarli insieme allo zucchero rimasto. Se si preferisce, si può filtrare la salsa ottenuta oppure cuocerla per farla addensare. Lasciare il gelato allo yogurt a temperatura ambiente per qualche minuto e lavorarlo con una forchetta, per farlo ammorbidire. Suddividere il frullato di albicocche nelle coppette o bicchieri trasparenti individuali. Aggiungere uno strato di gelato allo yogurt. Proseguire con uno strato di albicocche a spicchi. Completare con il gelato. Lasciare riposare le coppe in frigorifero per circa 5 minuti. Completare, irrorando le coppette con la salsa di lamponi preparata. Si possono servire le coppe, decorando a piacere, con ciuffetti di menta.

 

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